Ho impugnato un pad per la prima volta, credo, nel Dicembre 1990. Il regalo di Natale più ambito: un Nes Action Set che, per un bimbo totalmente all’oscuro della appena avvenuta commercializzazione (sul mercato nipponico) di quella belva che l’uomo del Sol Levante soleva chiamare Super Famicom (ma che il sottoscritto si ostinò a definire Super Nintendo almeno per i dieci anni successivi), era la massima espressione del divertimento digitale.

E fu, inutile dirlo, la fottuta rivoluzione copernicana: l’intrattenimento elettronico divenne – come del resto per la quasi totalità dei ragazzi cresciuti negli anni ’90 – l’unico pensiero fisso (perlomeno fino alla pubertà quando, chi più chi meno, ci si trovò tutti a mollare per un po’ il pad e dedicarsi ad altre forme di intrattenimento decisamente più triviali, ma già stiamo divagando).

Dicevamo: il Nes. Nintendo Entertainment System. Super Mario. Il seme video ludico. Il big bang dell’intrattenimento contemporaneo (dopo Pong, direbbe qualche “vecchietto”). Mondi bidimensionali fatti di allucinazione pura: tartarughe, funghi magici, nuvole sulle quali saltare, draghi malvagi e principesse rapite.
videoaristocracy il blog di informazione sui videogame, retrogame, serie tv e altroNintendo Entertainment System: i primi salti dell’Idraulico Baffuto
Passano gli anni e, passando per numerosi sistemi, si cresce. Ci si rende conto di essere rimasti un po’ bambini e, forse, un po’ più soli: la società ci impone un passo in avanti verso l’età adulta e per tutti i problemi diventano altri e ben più rilevanti. E ti trovi a praticare il videogioco quasi fosse onanismo. Questo, quantomeno, fino al proliferare del fenomeno Playstation che, vuoi o non vuoi, ha reso i videogiochi accettabili socialmente in ogni ceto e fascia d’età.
sony playstation del 1995 Sony Playstation: nel 1995, anche nel vecchio continente, il videogioco diviene un fenomeno socialmente accettabile
Forse il problema è stato questo, per gente come il sottoscritto: veder svanire quella maledettamente affascinante aura di elitarismo che l’intrattenimento video ludico possedeva. Il mass market che non ti aspetti. Il videogioco che diventa cool. Forse, persino, un argomento da tirar fuori uscendo con una ragazza. Grazie a Dio, scemo come sono, ho trovato il modo per tirare a campare: cominciare a collezionare e giocare con prodotti di importazione non reperibili nel Bel Paese.

“Divertiti pure con il tuo Pro Evolution Soccer, maledetto truzzo! Cosa vuoi che sia rispetto al mio nuovissimo Tokimeki Memorial?”
fenomeno del retrogaming Tokimeki Memorial (ときめきメモリアル): quando il fenomeno della importazione parallela ci trasformò in nerd senza speranza
E via così, insomma (naturalmente si scherza anche se forse, a veder bene, nemmeno tanto).

Ma nonostante tutto cresci e, dopo aver accumulato un quantitativo imbarazzante di giochi (molti dei quali ad un certo punto nemmeno giocati), ti trovi a possedere un lavoro rispettabile, una famiglia, forse un giorno anche dei figli. Il tempo per giocare è ridotto al lumicino eppure ti svegli il primo gennaio dell’anno del Signore duemilaquattordici con un pensiero in testa: parlare di videogiochi. Forse con nessuno. Forse semplicemente voler condividere qualche sensazione con un occasionale interlocutore. Probabilmente, un semplice e – talvolta – delirante monologo. Forse solo scrivere, probabilmente, perché non hai più quella voglia di giocare che ti caratterizzava quando, ancora, c’era qualche capello in testa. Non so. Vedremo dove andrà ad arenarsi la zattera.
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